top of page

Bëgn udüs. Benvenuti. Wilkommen - Parte 1

  • Immagine del redattore: Silvio Di Virgilio
    Silvio Di Virgilio
  • 6 gen 2021
  • Tempo di lettura: 9 min

Mai come in quest'anno strano mi è mancato sciare. Mi è mancato respirare quell'aria frizzante e immergermi in quello splendore che sono le Dolimiti. Non può che cascare a fagiolo quindi questa piccola fotografia, un gorgo di ricordi che si mischiano tra di loro delle mie settimane bianche da piccolo.


Ma ci sono dei punti fermi.

Alla mia famiglia, che mi ha concesso il privilegio di imparare e conoscere quei posti meravigliosi. alla famiglia Fognani ( Alessandro Fognani Marco Fognani ) che senza di voi non sarebbe stata la stessa cosa.

A Ivo Pezzedi e Mitti, la dedico anche alla vostra famiglia, alla Herta ed a Siegfried. A Corvara ed alle Alpi, terra di grandi Maestri e di bei momenti della mia infanzia e non solo.


Speriamo di poterci godere presto una grappa sulle piste insieme. Dopotutto è anche grazie a voi che ho questi bei ricordi.


Ci sono delle notti in cui il sonno arriva a fatica, in cui è solo un leggero velo che copre qualcosa che corre con la forza dell’energia elettrica nel vostro corpo.

Quando ci si gira e rigira nel letto cento, mille volte con un solletico nervoso che scorre su e giù, dai piedi alla testa.

Quando si ha voglia che sia già mattina, per scalciare via le coperte, saltare giù dal letto e liberare finalmente le gambe che non vedono l’ora di mettersi in moto.


A me capitava così almeno una volta l’anno, quando ero bambino. In genere in una grigia e fredda mattina tra Gennaio e Febbraio.


Il motivo era solo uno: si partiva per la settimana bianca.


La sveglia arrivava presto, alle 6:45 per essere puntuali. Non facevo in tempo a sentire i primi rumori dalla camera dei miei genitori ed ecco come un turbine mia sorella Viola che saltava sulle coperte gridando. «Partiamo, partiamo! Andiamo a sciare!», seguiva la voce di mia madre che entrava nelle nostre stanze per spingerci a prepararci «Dai, dai! Chi non è pronto non parte per la montagna!».


Non sapeva che Viola ed io eravamo pronti dalla sera prima.


La nostra auto, una bmw 318 station wagon blu notte che avevamo negli anni ‘90, era parcheggiata già stracarica.


Si passava buona parte della sera precedente ad aiutare papà nel sapiente lavoro d’incastro artistico di borse, valigie, sci, scarponi, zaini e generi alimentari da portare in vacanza.


Lui allungava la mano studiando concentrato lo spazio rimanente in quei quattro metri cubi all’apparenza infiniti che ingoiavano con facilità ogni pacco che gli passavo.


Michelangelo che scolpisce La Pietà con i suoi fidi discepoli a dargli man forte.


Quando finalmente si partiva, il segnale orario di Radio1 sembrava sempre severo nel ricordarci che eravamo puntualmente in ritardo rispetto ai programmi.


Avevamo un appuntamento da rispettare.


Quello con i nostri compagni per le settimane bianche. I nostri carissimi amici di sempre, ‘’quasi cugini’’, la Famiglia Fognani.


Ci aspettavano a bordo della loro Passat bianca alla piazzola dell’autostrada A1, sempre in anticipo rispetto a noi poveri artisti del portabagagli pieno.


Un rapido saluto dal finestrino con i nostri cugini, Alessandro e Marco. Uno sguardo corrucciato di Zio Maurizio e Zia Annalisa come a dire «Anche quest’anno siete in ritardo, eh?».

Le spallucce di scusa di mio padre Leo come a dire " Che ci vuoi fare? L’arte richiede tempo" e quello era il segnale. Si parte!


Iniziava la vacanza nella vacanza che era il viaggio che ci portava da Roma ai bianchi paesaggi altoatesini.


Ogni volta era una piccola avventura agli occhi del me bambino ed inevitabilmente si mescola nella memoria abbracciando le decine di settimane bianche che abbiamo passato insieme. Le sempre troppe fermate alle stazioni di servizio che disintegravano qualsiasi tabella di marcia i nostri genitori pianificassero, i panini che si compravano lì erano i più schifosi ed i più buoni dell’anno, le patatine al gusto paprica che prendevamo per fare merenda e che si trovavano solo in certi autogrill.


Poi iniziava il gioco di prestigio di scambi di figli e nipoti dalle rispettive auto.


Dopo la prima tappa già si perdeva traccia di chi montava nei sedili posteriori delle rispettive auto. Era una danza fatta da ballerini esperti per confondere le idee e per mettere alla prova la pazienza dei propri genitori.


Marco, circa della stessa età di Viola, spesso andava nella nostra auto e io nella loro, per giocare con mio cugino Alessandro che invece era appena di un anno più grande di me.


Ma era solo una cortina di fumo che noi, sapienti strateghi, gettavamo negli occhi dei poveri adulti per scombussolare il viaggio quando meno se lo aspettavano. Poveri loro!


Ognuno di noi cugini portava qualcosa di nuovo, in un turbinio di oggetti colorati che riempiva inesorabilmente i sedili posteriori delle auto. Alcune volte erano giochi di carte, altre volte qualche gioco di società, raramente qualche videogioco.

Ascoltavamo la musica dallo stesso lettore CD dividendoci gli auricolari, quei lettori di compact-disc portatili Sony che sono ancora marchiati a fuoco nei ricordi di ogni teenager degli anni ‘90 e che da lì a poco sarebbero stati sostituiti dai primi lettori mp3. Bolidi luminosissimi nel cielo stellato dei must-have di ogni ragazzo di quella decade, spariti sull’orizzonte dell’avanzamento tecnologico che li ha fagocitati in un sol boccone.


Ciao funzione anti-shock che non funzionava mai. Spero tu stia bene lassù, nel paradiso della tecnologia.


Spessissimo mi perdevo in qualche libro che mi portavo sempre dietro, anche più di uno. Mi tuffavo in pagine di avventure fantasy lasciando scorrere ai finestrini tutte le sfumature dei paesaggi dello stivale. Mi lessi buona parte del Signore degli Anelli di Tolkien così: tra un richiamo esasperato di mia madre che diceva avevo troppo il naso nelle pagine non godendomi il paesaggio, ed un tramezzino in sosta all’autogrill di Cantagallo.


Nel frattempo la vacanza nella vacanza scorreva rapida. Il processo di cambiamento del mondo intorno a me è ancora vivido nella mia mente.


L’appennino lasciava spazio alla pianura. Saltavamo il Po in un vortice di colori e si era sulla strada verso Verona, e più in là le Alpi, la nostra meta, si estendevano come una muraglia che splendeva d’argento ed indaco nel pomeriggio.


La pianura veniva sostituita gradualmente con alture, poi con i primi monti delle pre-Alpi che facevano da guardia a quella meravigliosa regione come guardiani immortali.


La strada iniziava a salire delicatamente intorno a noi, lentamente sollevata dalla terra da questi esseri ciclopici. Mettevamo una canzone di Battisti o di Zucchero e ci lasciavamo cullare da mastodontiche presenze di granito alte centinaia di metri.


Le brume della pianura di colpo divenivano un fiume che ci scorreva accanto, accompagnandoci mentre penetravamo in quel nuovo regno. I vigneti coltivati quasi in verticale adornavano piccoli castelli e cascine a guardia di curve delicate della valle montana che, lentamente, si stringevano su di noi.


Superavamo i tunnel che l’autostrada ci presentava...e finalmente la sorpresa, attesa ma sempre nuova: i paesaggi a tinta unita di verde e marrone con merletti di sfumature crema e grigio di roccia dolomitica si arricchivano della purezza del bianco della neve, punteggiava la valle boscosa in salita come lo zucchero a velo su una torta al cioccolato.


Finalmente l’autostrada, l’ultima vestigia del mondo ‘’basso’’ era abbandonata in favore di strade montane che profumavano di conifere e dove l’aria sapeva di buono.

La lingua d’asfalto era come incastonata tra abeti centenari di un verde così intenso che faceva quasi male agli occhi. Torreggiavano su di un sottobosco di aghi di pino beige e rocce muschiate.


Ogni tanto un guizzo di qualcosa di vivo ci ricordava che la vita era pulsante in quei monti.


Gli abbondanti tornanti ci accompagnavano sempre più in alto a sfidare quelle vette, il cui passato affonda in oceani; ci guardavano con la severità di insegnanti indecisi se darci una lezione di fronte a tanta insolenza e con l’amore di una madre, che accoglie tra le sottane il figliol prodigo.


Eravamo una processione di pellegrini venuti da lontano per ammirarne le forme. Timidi uomini che irrazionalmente abbassavano il volume della radio per onorare il paesaggio.


Umili, di fronte alla maestosità delle Dolomiti.






Le prima asperità venivano superate agilmente dalla nostra piccola carovana: anche se arrivavamo da lontano eravamo esperti nel divorare le insidiose salite costellate da auto ferme, guidatori alle prese con ruote che slittavano e rompicapi di catene da neve da montare.


Ci lasciavamo alle spalle i meno degni senza guardarci indietro. Nessuna pietà.


Con l’ultimo miglio di danza le nostre auto scavallano il Passo Gardena e lì lo vedevamo,, il segnale: ‘’ Bëgn udüs. Benvenuti. Willkommen - in Alta Badia’’. Anche quell’anno eravamo stati ricompensati per il nostro viaggio.


Bëgn udüs...benvenuti. Come suonava strana quella lingua montana, il Ladino, alle nostre giovani orecchie quando la gente del posto ci salutava in giro per il paese! Ma col tempo divenne sinonimo di vacanza e dei profumi freddi ed esotici di quelle valli.


Corvara ci aspettava qualche chilometro più giù. Già la si poteva scorgere. Si sviluppava placida nell’ultimo budello della Val Badia. Comoda e satolla sembrava distesa lungo la valle come una nobile Etrusca dopo un pranzo luculliano.


L’eccitazione e l’estasi della fine del pellegrinaggio coglieva tutti grandi e piccoli. Finalmente eravamo arrivati. Scivolavamo per le stradine di Corvara con le auto sbuffanti dal viaggio scorgendo da lontano un tetto amico di legno scuro. Unico, indistinguibile.


Da sempre le nostre famiglie, e prima ancora mio padre e mio zio, alloggiano al Garnì - il nome per affittacamere o albergo in Alto Adige - ‘’Bonaria’’.


Di più: sin dalla sua fondazione.


I due ebbero l’onore di conoscere giovanissimi uno dei Re di queste valli. Il loro, e di conseguenza anche il nostro, Maestro di sci. Espertissimo di ogni tipo di tecnica, rifugi, piste, salti e passaggi segreti lungo tutto l’arco delle Alpi.


Mi capitò in età adulta di parlare con maestri di sci di località molto lontane che al suo nome chinavano il capo in segno di rispetto.


Parlo di Siegfried Pezzedi, l’uomo cui devo la passione smisurata con la quale mio padre ci conduceva quasi tutti gli inverni in questi meravigliosi posti sin dalla tenera età di 4 anni.


Lo conobbero, ventenni, alla fine degli anni ‘60, quando vennero le prime volte in questo angolo d’Italia che sapeva molto d’Austria.


Fu il loro primo Maestro di sci.


Fecero subito amicizia, complici il mix esplosivo rilasciato dalla simpatia romana e la sottile ilarità montana. Da allora tornarono tutti gli anni a Corvara, con Siegfried come maestro e Cicerone di segreti salotti fatti di grappe, storie di caccia ed intrighi di valle che non sfigurerebbero in numerose cronache di corte.


Pochi anni dopo Siegfried aprì il suo piccolo Albergo con sua moglie, Herta.


Papà e zio Maurizio sono ospiti al Garnì Bonaria sin da allora. Noi che siamo la loro fiera prole si può dire che lo abbiamo vissuto in fasce. Forse io e i miei cugini siamo stati anche concepiti lì. Mi piace pensarlo.


Ci aspettavano nell’atrio pieno di mobili in legno chiaro intagliato a mano, tipico delle Dolomiti. Io ed Alessandro non facevamo in tempo a posare le prime borse che il rito cominciava. Il Maestro era un uomo alto, di qualche anno più grande di mio padre ma sembrava più anziano.


No.


Antico era il termine giusto, con la pelle del volto abbronzata, cesellata in legno e cuoio, forgiata in un labirinto di rughe dal sole e dalle intemperie delle altitudini. Il prezzo da pagare alle divinità delle valli per vivere in questo spicchio di paradiso. Dava l’impressione di un uomo burbero ma i suoi lineamenti erano addolciti da occhi scherzosi come quelli dei bambini, la bocca era uno squarcio bianco sempre pronto al sorriso, consapevole di uno scherzo che conosceva solo lui. Apparentemente smilzo aveva in realtà la consistenza di una quercia. Le sue mani facevano il paio alla pelle del volto: pesanti, callose, eppur gentili.


Siegfried ci prendeva le misure girandoci lentamente attorno. Poi si fermava soddisfatto e commentava, dandoci una pacca sulla testa, «Siete cresciuti eh? Bene perché quest’anno facciamo cose difficili...non ho ancora deciso se vi porto a fare i paletti - per i profani è l’allenamento preparatorio allo slalom, avete presente Alberto Tomba ai bei tempi? Beh, noi non eravamo così ovviamente ma ci provavamo - o vi porto direttamente a fare il giro dei Quattro Passi che quest’anno ci sono un bel pò di salti nuovi».

Un pò come dire «Non so se portarvi alle giostre o tenervi sui ceci a studiare tutto il giorno».


Con Alessandro ci guardavamo, e sorridevamo.


Sarebbe finita che avremmo fatto entrambe le cose. Come sempre.


Herta accanto a lui salutava le nostre famiglie con un perentorio e musicale «Allora!». Come a dire «Allora! ce ne avete messo di tempo per arrivare eh? Ma visto che in fondo vi voglio bene, ho preparato anche quest’anno i biscotti con lo zucchero a velo sopra. Sono nelle vostre stanze, sul frigo».


Quante cose si possono comunicare con una parola.


Nel tempo avevamo imparato a capire tutte le sfumature del suo «Allora!». Molto dipendeva dall’accento sull’ultima ‘’a’’.


Badate, poteva anche servire da avvertimento.


Come quando ci trovava nella sala adibita alla colazione al piano terra a giocare a Monopoli, invece di fare i compiti. Il suo «Allora!» aveva tutto un altro tono in quelle circostanze!.


Se Siegfried era il Re delle piste lei sicuramente era la Regina del focolare domestico e gestiva, allora come ora, la loro Pensione con la precisione di una guardia svizzera.


E si vedeva.


Il Garnì era piccolo ma accogliente. Si sviluppava su tre piani con 3-4 tra stanze ed appartamenti a piano. Tutto era curato con quelle semplici finiture ed arredamenti in legno così comuni nelle Alpi Dolomitiche che trasmettono un fascino senza tempo e sono fatte per durare.


Quasi ogni mobile era carico di foto, coppe, medaglie e riconoscimenti sportivi di Siegfried e dei suoi figli, Ivo e Mitti, anch’essi maestri di sci ( ovviamente ). Solo verso il piano terra, vicino alla zona dove vivono, le coppe e le medaglie venivano sostituite da foto sbiadite della gioventù di questa coppia felice e senza tempo. Segno del confine tra il dominio del Re e quello della Regina.


Il profumo di lillà e di rosaspina selvatica pervadeva le scale, racchiuse in un corrimano di ferro battuto, che scorreva dal piano terra verso il terzo piano mansardato.


Un semplice cartello di carta plastificata con su scritto - Non salire con gli scarponi da sci ai piedi - rompeva l'atmosfera artigianale di quel luogo.


Ovviamente noi quattro ci salivamo puntualmente, guadagnandoci degli «Allora!» molto, ma molto irati dalla Regina.


Infine cominciavano le agognate giornate di sci, con tanto di scuola Ski ogni benedetta mattina.


(...)


Continua a leggere prossimamente su --> Bëgn udüs. Benvenuti. Wilkommen - Parte 2








 
 
 

Commenti


©2020 di Capsule. Creato con Wix.com

bottom of page