Pollo al Forno con Patate
- Silvio Di Virgilio
- 15 lug 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 4 ago 2020
Torno da lavoro, da Roma. L’auto si guida quasi da sola nel traffico.
Prima. Seconda. Prima. Stop.
Ripetere.
Con il caldo di Luglio è peggio. Quel caldo aggressivo che ti si attacca addosso a dispetto dell’aria condizionata al massimo.
Salendo lungo l’Appia mi lascio alle spalle i labirinti di cemento e capannoni industriali. L’esterno lascia il posto a chiazze di verde sempre più estese. Abbasso entrambi i finestrini.
E sento le cicale.
Le lunghe giornate di Luglio. Quelle calde e afose. Quelle che nel pomeriggio si sentono solo le cicale piangere. O ridere, non l’ho mai capito.
Mi riportano alla mia infanzia. A Monte Gentile.
Alla casa dei miei nonni materni.
Immagino che alla maggior parte delle persone fanno venire in mente il mare, il campeggio o qualche viaggio estivo.
A me no.
Mi parlano di tempi di tranquillità, di dolce noia, di attese statiche seguite da scoperte innocenti. Di genitori che tornavano da lavoro tardi e di ore da riempire con quello che si trovava in giro per casa.
Avevo meno di dieci anni. Un tempo che per me voleva ancora dire niente videogame i quali avrebbero monopolizzato, forse troppo, il mio tempo gli anni successivi.
Voleva dire giornate cadenzate da attività uguali a quelle degli altri bambini nei decenni precedenti.
Non lo sapevo ma stavo vivendo uno spartiacque generazionale in quelle estati di inizio anni ‘90.
Ero sulla cima del Muro di Berlino, tra l’analogico del mondo reale ed il digitale della società futura.
Chissà se per i bambini attuali le calde giornate di Luglio senza scuola sono uguali a quelle che ho vissuto io.
Non credo.
Quei giorni avevano il profumo di foglie bruciate nei falò dei giardinieri. Di guaiti di cuccioli di cane appena nati. Di commenti di Pizzul la sera in TV quando giocava l’Italia. Avevano il profumo del suono dei motori rombanti della Formula 1 di Senna e di un giovane Schumacher.
Quei giorni avevano l’odore dei sigari toscani spenti da troppo tempo. Nonno Giovanni li teneva come altri vecchi nei bar tengono gli stuzzicadenti.
Ne aveva sempre uno in bocca. Quando era fuori in giardino. A cincischiare come solo lui sapeva fare. A spostare piante. A raccogliere foglie. Ad accudire i cani.
C’erano sempre cani a casa dei Nonni: meravigliosi pastori tedeschi che hanno forgiato per sempre il mio modo di vedere gli animali domestici.
Custodi di qualità altissime che solo mio Nonno sapeva raccontare.
E io lì che ascoltavo rapito.
Me ne parlava con il sigaro spento in bocca mentre preparava un brodo di pollo, con un pollo intero dentro, nel cucinotto che avevano in garage.
“Silvio ricorda, la linea perfetta di un pastore tedesco scende così dall’anca alla zampa...” diceva mentre muoveva la mano per disegnare quella forma perfetta, un maestro di Arti Marziali che insegna al suo allievo “…altrimenti possono avere la displasia, lì sono cavoli!”.
Poi pescava la testa del pollo dalla pentola e cominciava a fare la peggiore interpretazione da ventriloquo che un bambino di dieci anni può aver visto nella sua giovane vita. Ed io ridevo.
Forse era questo il punto.
Alcune mattine mi accoglieva dicendo: “Vieni, mi ha detto il vicino che qui in giardino, prima di costruire casa, c’erano delle antiche rovine romane! Hanno detto che c’era un tesoro! Dobbiamo trovarlo! Ma non dire niente in giro che sennò quelli del Ministero delle Belle Arti vengono e ci requisiscono tutto. Ah non dire niente neanche a tua Nonna”.
Maledetti ministeriali. Mi sono stati sul cazzo fino ai trent'anni.
Mattine intere a scavare buche in giardino.
E lui con me.
Una volta trovammo veramente qualcosa. Manciate e manciate di pietre e catene sfavillanti di tutti i colori. Orecchini collane anelli gemme. Splendevano di tutta la luce dei raggi del sole dopo una giornata di pioggia.
Ottima bigiotteria che anni dopo scoprii essere di Nonna Rossana.
Ora capisco perché si incazzò cosi tanto quel giorno a pranzo con Nonno.
Dopo pranzo andavo alla ricerca di qualche libro in mansarda.
Ce n’erano a centinaia. Testimoni silenti di un passato familiare di amanti dell’arte, della musica. Mi giudicavano con la serietà di vecchi tutori acidi.
Non il mio genere.
Mi tuffavo nella valutazione delle copertine e dei loro titoli, saltando da una mensola all’altra.
Scartavo tutto quello che non aveva il suono di una bella storia.
Poi mi mettevo in veranda, con mia sorella Viola che giocava con le bambole.
Ed entravo in un altro mondo.
Ero uno scansafatiche per le campagne americane con Tom Sawyer. Ero un esploratore insieme al Prof Lindenbrock in un viaggio verso il centro della Terra. Ero un Marinaio nel ventre d’acciaio del Nautilus con il Capitano Nemo.
Fuori, nel mondo reale, solo le cicale rumorose nelle siepi a farmi da testimone.
Ogni tanto truffavo mia sorella facendola giocare con me a Monopoli. La corrompevo con promesse di un equo affare. Avrei giocato con le bambole con lei il giorno dopo.
Storie di ordinarie bugie tra fratelli.
E poi i solchi in pendenza, scavati con i bastoni sulla terra dura del giardino, diventavano le rapide del Colorado portate in vita da Nonno con il suo tubo per innaffiare.
Le siepi di alloro dalle foglie crocchianti divenivano un nido dentro cui mi perdevo, un po' Tarzan e un po' Cita, finché Nonna Rossana non veniva a chiamarmi per la merenda.
L’albero centenario di ciliegio diventava le fondamenta di una reggia formata da 4 assi dai chiodi sporgenti che Nonno aveva martellato sapientemente sul suo tronco spesso. Una frasca di castagno con le foglie fresche come tetto.
Le grandi raccolte di prugne sfavillanti e mature dagli alberi in giardino. Mia Nonna che ci guardava dalla finestra con la promessa di marmellata dolcissima che avrebbe prodotto per noi.
Come una Regina dell’alveare e noi la sua stirpe prediletta in attesa della pappa reale.
Le gite in bicicletta nei sentieri boschivi delle zone limitrofe, con i rari amici che avevo tra i vicini di casa.
Esploravamo i tunnel di querce e castagni in sella alle nostre mountain bike dai colori sgargianti, precoci centauri di anni futuri.
Sbucavamo a cento all’ora in prati di erba alta del colore dell’oro brunito, secche dal caldo, che suonavano al nostro passaggio come lo scroscio di mille e mille pagine di libri mai letti.
Solo i fauni ed i fantasmi degli antichi romani che percorrevano quelle strade nell’antichità a farci da custodi. Per come siamo cresciuti dovremmo ringraziarli.
I baci umidi di mia Nonna, come solo le nonne sanno dare, mentre mi foraggiava di torte al cioccolato Cameo roventi di forno in freschi pomeriggi a 40 gradi.
Le saltuarie visite di Zia Giuliana che ci chiamava principe e principessa dandoci pizzini di carte da 5mila lire mentre i Nonni non guardavano.
Ero il rampollo di una stirpe antica e nobile. Erede di un universo fuori dal tempo; fermo in una dimensione fatta di merli fischianti, alberi dal fusto alto come grattacieli, pastori tedeschi dalle lingue penzoloni e draghi verdi smeraldo proprietari di muretti di roccia lavica e tufo dalle dimensioni di lucertole di cinque centimetri.
Mille metri quadri di Eden dove io ero Adamo ed il Serpente al contempo.
E me ne crogiolavo.
Il Tempo si piegava su se stesso tra il fischiettio di Nonno in giardino e le nenie cantate a bocca chiusa da Nonna.
Potrei giurare di aver passato decenni in quei pomeriggi e mattine con i miei Nonni a fare e disfare cose di prioritaria irrilevanza e di secondaria urgenza.
Infine arrivava il profumo del mio piatto preferito, preparato da Nonna la domenica mattina, a chiudere le millenarie settimane di luglio.
Quell’aroma inconfondibilmente speziato di aglio e rosmarino che usciva dal forno. Teglie ripiene di pepite d’oro dai bordi bruciacchiati ma così saporite da far piangere. Ali e cosce dalla pelle unta che sporgevano dal tegame quando mi alzavo in punta di piedi a spiare la preparazione di mia Nonna che, come una sarta, tagliava il volatile con le forbici da cucina.
Pollo al forno con le patate.
Quelle giornate sapevano di questo.
E sì Viola, l’ultima ala del pollo è mia.

... I nonni... Che bene prezioso! Bravo Silvio... nel tuo racconto li ho rivisti, quei nonni che tutti noi cugini chiamavamo in quel modo! Adesso ci vuole la novella di Natale, però quella di qua do eravamo piccoli!