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Artefici del Destino- Parte 1 -

  • Immagine del redattore: Silvio Di Virgilio
    Silvio Di Virgilio
  • 12 ago 2021
  • Tempo di lettura: 7 min

Dedicato ai Morte al Criptarca, il mio gruppo di gioco. Che si possa sempre saltare sicuri, senza l’ausilio di un cane guida.


Artefici del Destino - Parte 1



“Chi sono?”, “Dove mi trovo?”, “Perché combattiamo?”; ma soprattutto “Perché ogni cazzo di volta finisce così??”.


Mi sorgono sempre le stesse maledette domande ogni volta che mi esplode una granata termica a pochi metri dai piedi. Sento il corpo riverberare dall’urto come se fossi acqua di un lago dopo che vi è stato lanciato un sasso.


Certo, una persona normale sarebbe stata fatta a pezzi, per fortuna indosso una strana tuta di una lega sconosciuta che mi ripara da una morte orribile. A malapena.


Vengo scaraventato lontano dalla forza d’urto, attraverso strati di fumo ocra al cloro e mercurio causato dalla detonazione. Rimbalzo un paio di volte sul terreno di pietra irregolare, l’armatura in simil acciaio che stride e diffonde scintille bianche e blu tutt’intorno. Rotolando sul pavimento ammortizzo in qualche modo i danni e mi rialzo a fatica, scrollando la testa dentro l’elmo ammaccato pieno di luci e led rossi ad indicare i livelli energetici in stato critico, giusto in tempo per godermi la scena.


“Oh no…”.


La squadra alla mia destra, composta da Rosso e da Angelo è stata messa all’angolo da decine di robot dal colore bronzeo intervallato da mille venature cremisi che rifulgono brillanti in disegni geometrici, come un circuito stampato.


I Piccoletti, così chiamiamo quel circo di nemici dalle decine di forme, non sono molto pericolosi in genere. Ma stavolta sono tanti.


Avanzano lenti ma inesorabili in una pioggia di colpi di laser e blaster multicolori verso la roccia dietro la quale miei amici si riparano, rispondendo al fuoco con ostinato attaccamento alla vita.


A “questa” vita almeno.


I miei compagni mandano a segno diversi colpi, facendo esplodere nuclei robotici in spruzzi di liquido radiolare lattiginoso. Abbastanza schifoso, ma innocuo. Credo.


Non basta, i nemici superstiti avanzano utilizzando le carcasse dei compagni come scudo mobile.


Angelo lancia una granata di energia solare, attingendo a poteri per noi ancora incomprensibili, proprio in mezzo ad un gruppo di mostri metallici. La sfera di luce arancio brillante si stacca dal suo palmo comparendo apparentemente dal nulla. Fa un elegante parabola, quasi artistica, fino ai piedi del gruppo facendone fuori a dozzine,con un’esplosione di fiamme ruggenti.


Rosso si sporge dal riparo, galvanizzato dalla compagna. Ululando di gioia spara all’impazzata con il suo revolver da guerra...giusto in tempo per venire centrato alla testa dal preciso tiro di un cecchino appostato in un anfratto a decine di metri in alto, alla sua sinistra, lungo le pareti di questa gigantesca grotta di cristallo in cui siamo imprigionati.


Aguzzando la vista posso scorgere nella penombra la sagoma di qualcosa con due lunghe corna arcuate ai lati di quella che dovrebbe essere una testa, ma in cui troneggia invece un solitario occhio digitale rosso. Il “Diavolo”, questo il suo odioso nomignolo, ha al posto di una delle braccia una lunga canna da cui spara dardi metallici ad ipervelocità. Sembra scuotere la sua coda prensile dalla soddisfazione, il bastardo.


Il corpo senza testa di Rosso viene sbalzato lontano, finendo in un burrone dalle profondità sconosciute posto qualche metro dietro la loro posizione difensiva. Un piccolo drone, dalla forma di una stella cremisi, spunta come dal nulla e segue a velocità folle il corpo del suo padrone nell’abisso.


“Cazzo i Diavoli! Non li hanno neutralizzati! Glielo abbiamo detto mille volte, prima i Diavoli, poi il resto! Maledetti robot cornuti!”.


Angelo presa in contropiede dalla repentina morte del compagno non si accorge di un gigantesco “Toro”, le entità robotiche bipedi più grandi e massicce, che improvvisamente si materializza alle sue spalle, in uno sbuffo di nebbia tachionica. Angelo gli scarica libbre di piombo del suo fucile automatico ma lo scudo energetico violaceo, posto a qualche centimetro dalla pelle metallica del gigante, tiene. La prende per il collo, che rilascia un secco “crack” che posso sentire anche a questa distanza, e getta sprezzante il cadavere contro una parete di pietra e metallo.


La luce azzurrina che illuminava il lato destro della grotta si spegne, facendo tornare in penombra parte dell’enorme ambiente. Solo decine di occhi carmini mi guardano, in attesa, dal campo di battaglia ormai silente.


“E tanti salut alla squadra di destra”, penso scuotendo il capo ancora intontito dall’urto.


Sul lato sinistro non va meglio.


La luce verdognola sul pavimento che caratterizza quel lato è ancora accesa, segno che qualcuno sta ancora dando del filo da torcere ai guardiani metallici.


Del movimento oltre un blocco di pietra e metallo dalla perfetta forma cubica attira il mio sguardo e, d’improvviso, vedo Capo caricare a testa bassa un gruppo di nemici, scivolando sulle ginocchia all’ultimo momento e scaricando una grandinata di colpi di fucile a pompa. Elargisce oblio alle truppe aliene in un turbine di schegge di silicio e tungsteno con un’abilità quasi ultraterrena, alternando precisi colpi a bruciapelo a bordate del suo maglio fulminante che compare tutt’a un tratto dall’estremità della sua mano sinistra. Più di 50 kg di materia bluastra che solleva con una facilità disarmante sfruttando la sua propria energia “speciale”, simile ad una elettricità, che trasuda in zampilli ad arco dalla sua veste.


E’ difficile da spiegare.


Come quella del fuoco solare di Angelo, ognuno di noi può attivare una sorta di “potere” che viene convogliato dall’armatura tecnologica che indossiamo. L’abbiamo chiamata energia “paracausale” in virtù del fatto che pare non avere una vera “causa” o spiegazione sul come venga generata.


Un po’ come dire che schioccando le dita in un certo modo sai di poter fare esplodere una roccia a 100 metri. Non sono due cose collegate, non dovrebbe accadere, ma sai che accadrà.


Arrivati ad un certo punto, nel mezzo della battaglia, ci rendiamo conto che possiamo usarla per brevi momenti. Come essere coscienti all’improvviso di avere una terza mano a disposizione. Lo sai e basta.


Ma l’effetto è potente. E utile. Braccati da tutti i lati da questi essere sconosciuti ci siamo detti “Che diavolo! Usiamolo e chi se ne frega!”. O almeno è quello che disse il Rosso. Gli altri furono d’accordo.


Capo continua ad avanzare nel suo bagliore bluastro, facendo esplodere il nucleo del Piccoletto davanti a lui. Gli ruota intorno in una danza veloce schivando i colpi di un Toro, subito dietro, che intercetta con una spallata potentissima che causa un esplosione di scintille azzurre. Il corpo vagamente cilindrico viene ammaccato violentemente e l’entità aliena si schianta sul pavimento. Capo gli sale sul petto e lo finisce con un paio di colpi del suo fucile. “Vituperio” recitano le scritte rossastre incise sulla canna.

Nome adatto, considerando quanto è sboccato quel tizio.


Purtroppo non si accorge del gruppo di “Seppie” dietro di lui, una varietà di questi maledetti “cosi” che ormai conosciamo troppo bene. Bestie fluttuanti dall’aspetto di molluschi di quattro metri color rame, dai tentacoli taglienti come rasoi ed ancor più pericolose mitragliatrici leggere laser montate sopra di essi.


Capo diventa rapidamente un cumulo crivellato e fumante di lega e carne bruciata sopra la più grande massa del Toro abbattuto.


Vituperio resta poeticamente verticale, come ad indicare la sua tomba.


Ballerina, la compagna di Capo, non si vede. Devono averla già fatta fuori.


Una gigantesca esplosione di fronte a me mi riporta alla gravità della mia, di squadra.


Sono assegnato a quella di centro, che dovrebbe tenere a bada il “Gigante”, mentre gli altri ripuliscono gli anfratti laterali della mastodontica caverna dalle sue truppe.


Non abbiamo altro modo di chiamarlo, lo stramaledetto Gigante. Un mostro robotico di più di dieci metri di morte e terrore dal colore cangiante del cristallo sporco e venature pulsanti del colore dell’ambra. Un gigantesco occhio di lega traslucida con led rossastri troneggia al centro del suo petto, controllando il campo di battaglia.


Ci irride da una piattaforma dalla parte opposta del nostro lato dell’enorme caverna di cristallo e vetro. Armato di un cannone al plasma sul braccio destro ed un raggio laser termico su quello sinistro, è il nostro peggior nemico. E la chiave per uscire da questa maledetta trappola. Lo sentiamo nelle viscere.


Beh, almeno nei brevi momenti in cui riusciamo a tenerle in corpo.


Vedo il mio compagno, Roccia, nella piattaforma che separa il nostro lato da quello del mostro, come un terreno di gioco intermedio separato da burroni senza fine. Bocche oscure da cui nessuno risale mai, amico o nemico che sia.


Roccia ha attivato il suo potere paracausale, segno che le cose non stanno andando affatto bene. E’ immerso nella luce spettrale del grande scudo semi trasparente di energia violetta, come una grande vela con intarsi e arabeschi che sembrano disegnare un dipinto arcano e da cui è derivato il poetico nomignolo che gli abbiamo trovato: “L’Arazzo”.


L’Arazzo pulsa, lampeggia. E’ stanco, assorbe ormai a fatica ogni colpo che il Gigante gli sta scaricando addosso. Roccia grugnisce udibilmente anche a questa distanza, nel tentativo di non perdere terreno e di tenere attivo il potere paracausale.


Ma nulla dura per sempre.


Un Diavolo dal lato destro trova la traiettoria e gli colpisce un polpaccio, in un’esplosione di schegge e scintille, mandandolo in ginocchio e costringendolo a perdere il controllo sull’Arazzo.


Nello stesso istante alle spalle di Roccia scorgo scintille di luce dorata. Un attimo dopo ecco che, disattivando il suo manto di camuffamento ottico, spunta dal nulla un piccolo robot di nemmeno un metro e mezzo. Ha un’aria insignificante con il suo telaio apparentemente leggero e delicato, color del latte.


“Il Fantasma! Ora il fottuto quadretto è completo”. Il piccoletto con una rapidità ed un’efficienza inverosimili sfodera due daghe ad energia e le conficca nelle possenti spalle di Roccia, all’altezza del cuore. Un battito di ciglia dopo Il Fantasma è di nuovo svanito, in una scia quasi invisibile di chiarore dorato, lasciandosi dietro il cadavere del mio amico, ancora trasudante energia paracausale violacea.


Il gigante si rivolge verso di me. Carica con calma un colpo del suo cannone al plasma e con una precisione chirugica lo spara dal centinaio di metri circa che ci separano in un arco di perfetta bellezza e morte.


“E anche questo tentativo è andato...” chiudo gli occhi mentre le fiamme verdi del plasma a più di diecimila gradi mi avvolgono in una vampa fatale.


Buio. Galleggio nel nulla. Ormai ci sono abituato. “ Dovrebbe comparire a breve…” penso.


«Guardiano, non hai completato il tuo Destino...» una glaciale ed eterea voce femminile ripete la frase che ormai conosco a memoria «Vuoi rientrare in battaglia?»

Sul finire della domanda ecco che nel vuoto oscuro nel quale sono immerso compaiono due scelte - Rientra in battaglia - e - L’Oscurità ti divora -.


Se è possibile, sono sicuro di sentirmi sospirare rumorosamente nonostante io sia puro spirito quando la tizia dalla voce eterea mi fa questa domanda, ma impartisco mentalmente il comando e la scritta - Rientra in battaglia - si illumina.


“Si ricomincia…” penso stancamente, immerso nell’etereo nulla in cui mi trovo, o almeno dove la mia mente si trova, “...speriamo la prossima volta vada meglio”.


(...)


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