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Rock 'n' Roll Star - Parte 4

  • Immagine del redattore: Silvio Di Virgilio
    Silvio Di Virgilio
  • 2 ott 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 6 ott 2020


Tra il letto e l’ampia finestra della mia camera vedo una figura imponente che tiene un bastone di circa un metro e mezzo davanti a sé.


E’ controluce trovandosi di fronte alla vetrata, mi schermo gli occhi con la mano per vedere meglio.


O forse è il mio cervello che fa fatica a mettere a fuoco, non saprei.


Con aria rilassata, al centro della mia stanza, c’è un tizio a petto nudo, con solo un hakama - la tradizionale “gonna” dei samurai - addosso che esegue dei precisi passi di scherma impugnando con entrambe le mani quella che appare essere una spada di legno, un “bokken”. Come quelle che ho usato nei miei tre anni di arti marziali, durante il liceo.


Appare sulla quarantina ma il suo corpo parla di un fisico allenato di gran lunga superiore di alcuni miei coetanei palestrati.


«Se fossi in te sarei più cauto. La ragazza...sembra aver un bel carattere, potrebbe diventare un nemico insidioso, un potente alleato...» si volta verso di me con un sorriso ferino mentre continua a muoversi armonioso «... o qualcosa di più...»


Una rada barba incolta circonda uno sguardo determinato. Quasi animalesco.


Come se fosse la cosa più naturale del mondo salta da una parte all’altra della piccola camera leggero nonostante la statura. E’ a piedi scalzi ma si muove ripetendo precisi movimenti di qualche kata di spada, le forme di allenamento delle arti marziali orientali.


Avanti e indietro.


Affondo. Ritirata. Preparazione. Affondo. Ritirata. Preparazione.


Sono in dubbio se mettermi a ridere, chiedere aiuto a squarciagola perchè ho uno squilibrato armato in stanza o fare un interrogatorio al protagonista della scena più strana che io abbia mai visto.


Vince la curiosità « Ehm...scusa, ma chi sei? Come sei entrato? Perchè ti stai allenando nella mia stanza e perché diavolo sei scalzo?!».


L’uomo dai tratti orientali si gira recuperando il pezzo superiore di quello che credo sia il miglior costume da samurai che abbia mai visto. Lo indossa con tutta calma mentre mi guarda enigmatico. Noto che il tessuto grigio e bianco è liso in più punti, come se fosse stato rammendato più e più volte da tagli e squarci.


«Mi chiamo Musashi Miyamoto, alcuni mi chiamano Takezo, se per te è più semplice…» i suoi capelli, lunghi e scuri, sono raccolti in una crocca sul retro del cranio che a malapena riesce a tenerli fermi; alcune ciocche sfuggono al nodo e gli ricadono a lato del volto donandogli un aspetto selvaggio, spiritato « ...e non sono “entrato”, sono sempre stato qui. Mi sto allenando perché la preparazione è tutto per chi percorre le vie del Bushido e…» fa un rapido gesto a creare un nodo preciso, quasi una mossa di karate «...sono a piedi scalzi per sentire meglio la terra…» si finisce di annodare la cintura alla sua veste «... ovviamente».


«Ovviamente» rispondo lentamente, per un attimo troppo basito per dire altro, leggermente stordito dal turbine emotivo di quella strana mattina.


Il nome non mi è nuovo. Avevo il pallino per il Giappone Feudale quando ero a scuola.

Musashi Miyamoto...Takezo. Semplicemente il Samurai più famoso della storia.


Una vera leggenda.


«Ok..» dico alzando le mani per conservare un minimo di pazienza e buone maniere «Ok amico samurai, direi che per stamattina ne ho abbastanza. Esci da qui per favore: vorrei rimanere un po’ solo».


Non faccio in tempo a finire la frase che lui già scuote il capo mettendosi seduto sulla sedia accanto alla finestra «Niente da fare, non me ne vado. Non posso».


Devo aver sentito male « Prego? Come non puoi…? Preferisci che chiami la sicurezza? Mi sa che non ci stai con la testa... » rispondo incredulo.


Takezo, come ha detto di chiamarsi lo strambo, fa spallucce! Come se fosse la cosa più naturale del mondo andare in giro vestito da samurai in camera d’altri! Di un ospedale per giunta!


Qualcosa dentro di me cede e gli urlo contro «Ti ho detto...vattene!» istintivamente stringo il rotolo di Scottex che ancora tenevo con la mano sinistra e lo tiro dritto sulla sua testa…


...solo per vedere il rotolo andare oltre e sbattere con un sonoro “Tud” sulla parete retrostante. « Ehi...» dice Takezo girandosi verso la parete con lo Scottex aperto che ancora rotola lentamente in un angolo, seminando una scia di carta bianca a fiorellini rosa, come nelle pubblicità in tv «...se continui così andrà a finire veramente che ti potrebbe servire una mano per pulire!» ridacchia.


Sento il sangue defluire dal volto. Brividi di freddo mi corrono dietro alla schiena in barba ai 30° del Luglio romano. Sento il cervello bloccato “Ma che cazz…”.


«Te l’ho detto, non me ne posso andare anche volendo. Sono bloccato qui con te, e penso anche di sapere perché» dice alzandosi venendo verso di me. Imperioso con il suo bokken legato ad un fianco, il vestito grigio e bianco rattoppato in più punti ed i capelli legati male dietro la nuca con le ciocche ribelli che si allargano come i tentacoli scuri di un piovra.


Deglutisco a fatica «C-chi sei veramente? Perché sei qui?» gli occhi sgranati dall’incredulità e dalla paura.


«Il mio nome già lo sai. Anche se nel tempo me ne hanno dati tanti altri. Mi vedi come mi vuoi vedere, tiranno o guida. Sono come necessito di essere, ingombrante o discreto. Esisto in forme di spazio sottili come un sospiro e profonde come il cielo. Sono qui quando devo esserlo, anche se non sempre vengo percepito…» sospira, sempre concentrato su di me «...e penso proprio che stavolta ti ci voglia una bella spintarella per farti dare una mossa, amico mio» lo dice con un misto di dolcezza e comprensione che stona con la sua figura marziale.


Stranamente quella frase sembra disperdere la morsa di terrore che mi aveva colto poco prima.


Si scioglie come neve al sole primaverile lasciando il posto a stanchezza. Una strana sensazione di accettazione dell’assurdo episodio che sto vivendo mi abbraccia con calore.


Come se parlare con un’allucinazione...o un fantasma di un samurai fosse la cosa più naturale del mondo viste le condizioni in cui versa la mia vita, cosa che faccio decisamente fatica ad accettare.


Un’improvvisa sensazione di forza e determinazione mi scaturisce per un attimo da dentro. Mi fa ricordare il me stesso di prima dell’incidente.


Quello che si rialzava sempre.


E’ una sensazione fugace, come il rombo di un motore ingolfato di un auto tenuta troppo a lungo ferma e che fa fatica ad avviarsi.


Ma è lì! E’ lì, sotto un leggero strato di ruggine e pigrizia. Diavolo, che bella sensazione che è stata, anche se è durata un attimo!


«Una spintarella...eh?» dico ridacchiando, cacciando indietro l’emozione «quella ci vuole sempre per uno costretto sulla sedia a rotelle…»


Musashi fa un gesto con la mano come a scacciare una mosca «Basta con la commiserazione. Dai, mettiamo a posto questo schifo…» dice ammirando il mio capolavoro sul pavimento «...o almeno proviamoci!».


Faccio spallucce “Ma sì. Tanto peggio di così…”.


(...)





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